Fondatore di fARCHITECTS, studio di Asti, l’architetto Federico Pavese racconta di come è nato questo progetto, nonché di come lo porta avanti, assieme ai suoi collaboratori, secondo obiettivi di sostenibilità, funzionalità e ottimizzazione degli spazi, implementando le Chiusure A FiLO per progetti nazionali e Oltreoceano.
fARCHITECTS è un progetto la cui idea prende forma concreta a New York nel 2011, durantre un soggiorno di formazione dell’arch. Pavese, che lui ricorda come: «Un momento appagante dal punto di vista sociale, culturale e professionale, perché stavo stringendo rapporti e scambiando informazioni con architetti di Manhattan e Brooklyn».
Proprio sulle rive dell’Hudson nasce l’idea del nome. L’architetto racconta infatti che, verso la fine della sua permanenza Oltreoceano, lui e altri colleghi americani con cui si trovava in un bar si sono sentiti chiamare dal barista, scherzosamente, “farchitects” (acronimo di “fottuti architetti”).
«Quel termine mi ha affascinato — racconta —: ho notato che anche là, come in provincia da noi, l’architetto spesso è visto come quello che non è mai soddisfatto e fa rifare le cose se non gli vanno bene. È un po’ quella visione dell’architetto che, per certi versi, mi affascinava. Come il fatto che gli architetti di Manhattan avessero gli stessi “problemi” che abbiamo noi».
Un nome, quindi, che voleva essere una rottura rispetto alla «Forzata ricerca di originalità», ma che rappresenta anche concetti e idee nate qualche mese prima del viaggio negli Stati Uniti.
Lo scopo dello studio per Pavese, che all’epoca praticava la professione già da 8 anni, era ed è quello di riproporre la figura istituzionale dell’architetto al centro di progetto, secondo il principio, adottato anche da fARCHITECTS come motto, “Form Follows Function” (la forma segue la funzione).
«Il progetto per noi ha una sua autonomia intellettuale, scientifica, divulgativa e didattica, che può essere considerata un’entità slegata dal cantiere. Questo fa sì che il risultato finale sia di alto livello. Noi crediamo fermamente che il miglior modo per arrivare a risultati architettonici importanti sia quello di un progetto di qualità, anche dal punto di vista grafico, non solo dei contenuti».
Nessun dettaglio del disegno, per Pavese e i suoi collaboratori, è un gesto puramente estetico: nulla è solamente decorativo ma adibito a una funzione specifica che giova all’utente finale.
È anche in questo che le Chiusure A FiLO giocano un ruolo tanto fondamentale, dando all’ambiente un aspetto ordinato col loro mimetizzarsi alle pareti, valorizzando gli spazi e agevolando la funzionalità e l’ispezione degli impianti.
«Spesso, in cantiere» racconta l’architetto, «capita che ingegneri o installatori mi si fanno avanti quasi scusandosi del fatto che saranno presenti certi terminali impiantistici a cui va un’ispezione. Come se fosse per me un dramma, ma avendo già la soluzione in tasca risolviamo facilmente».
Parliamo di chiusure per impianti a parete (ANTECHA) e a soffitto (GIGAbotola), sistemi adibiti all’ispezione di macchinari di ogni dimensione, che al contempo li nascondono per non interferire con l’estetica generale del progetto.
Ma anche elementi che, si potrebbe pensare, fungono solo all’estetica, in realtà possono essere fondamentali per la gestione del cantiere e degli spazi. Parliamo ad esempio della porta ECA, implementata in diversi progetti di fARCHITECTS in virtù della possibilità di ottimizzare la capacità degli ambienti e della complanarità a muro.
«In studio l’altro giorno ho fatto una battuta in merito alle chiusure filo muro, dicendo che esiste un pre-COMPASSiN e un post-COMPASSiN. Per tanti anni si è girato intorno al problema con soluzioni non durature, ma da quando ci conosciamo non mi hanno mai chiamato né privati né aziende lamentando problemi estetici o funzionali».
«In controtendenza rispetto a quello che sento spesso dire da colleghi, ci piace gestire progetti dove abbiamo l’interfaccia diretta con tutte le maestranze».
Pavese così racconta di come questa modalità di lavoro permetta un confronto e un controllo diretto, che oltre a dare certezze sul risultato finale, offre al progettista informazioni preziose e un beneficio economico per il cliente finale, in virtù di una filiera più corta.
E nei progetti fARCHITECTS i benefici per gli utenti non solo solo economici. Dalla fondazione, infatti, lo studio persegue obiettivi di sostenibilità. È una parola forse vaga e abusata ultimamente, ma che Pavese e i suoi collaboratori concretizzano con diverse operazioni che rientrano, ad esempio, nei protocolli Passive House, WELL e LEED (Leadership in Energy Environmental Development)
Sono proprio questi gli aspetti che l’archietto ha approfondito a New York e ha iniziato ad applicare in ogni progetto. «Il Certificato LEED è stato applicato al primo edificio in Italia nel 2010. Infatti nel 2011, quando mi ero recato negli Stati Uniti per approfondire quello studio, era una novità assoluta in Italia».
Parliamo di un protocollo nato proprio negli Stati Uniti che, contrariamente al protocollo Passive House, non riguarda solo il risparmio energetico, ma anche tanti altri aspetti come il risparmio idrico, la filiera produttiva e la distanza dell’edificio dai materiali di approvvigionamento, e viene attribuito alle costruzioni con un punteggio che arriva fino a 101 (LEED platinum).
Il protocollo WELL, invece, non si riferisce prettamente all’aspetto ambientale, ma al benessere generale delle persone, in ambienti con determinate caratteristiche che giovano alla qualità della vita di chi li abita.
«I progetti che ci piacciono di più — prosegue l’architetto — sono le nuove costruzioni, sia residenziali che, soprattutto ultimamente, produttive. Queste ultime spesso danno tantissime possibilità compositive: la possibilità di giocare con gli spazi, coi volumi. Questa è una delle prerogative di un progetto legato a un’azienda vitivinicola, dell’indotto o dell’enomeccanio, settore dove ci stiamo specializzando».
fARCHITECTS è infatti uno studio molto legato al territorio astigiano in cui ha sede, e non manca di valorizzare queste radici nei suoi lavori con clienti piemontesi e lombardi (come i recenti interventi a un’azienda dell’indotto di Cervere, in provincia di Cuneo, e l’ampliamento dell’ospedale di Moncalieri) sebbene sia in atto un’espansione in Nord America.
«Abbiamo la fortuna, da tre anni a questa parte, di lavorare in Canada, dove abbiamo aperto una piccola sede in cui gestiamo la realizzazione di servizi alle residenze in contesti esistenti, e di conseguenza l’interfaccia con l’impiantistica preesistente dove, anche lì, abbiamo inserito a capitolato i vostri prodotti».
«Benché abbiamo sede in provincia — conclude l’architetto —, non rinneghiamo queste radici. Devo dire che dal 2002, quando ho iniziato a fare la professione, non è mai mancato il lavoro. Anzi, mi ritengo molto fortunato, perché alla fine viviamo in zone ricche e non c’è mai stata una pausa, neanche durante la crisi di inizio 2000 o durante il Covid. Di conseguenza si cerca di puntare verso l’internazionalizzazione dello studio, ma allo stesso tempo ci si tiene ben radicati a quello che è il pacchetto di clienti che abbiamo oggi. Perché non potremmo chiedere di meglio».
L’intervistato
Arch. Federico Pavese
Dopo la laurea in Architettura presso il Politecnico di Torino, l’architetto Pavese ha portato avanti il lavoro sul campo con molteplici formazioni e certificazioni, specialmente relative alla progettazione passiva e sostenibile. Oltre 12 anni fa, l’architetto ha fondato il suo studio fARCHITECTS che si rifà al celebre motto “FORM FOLLOWS FUNCTION”, unendo un particolare accento sulla tecnica e la tecnologia combinate con le recenti inclinazioni a una progettazione sempre più attenta all’energia e alla sostenibilità. L’architetto è, infatti, uno dei pochi progettisti italiani in possesso del certificato LEED, il nuovo standard mondiale per le costruzioni eco-compatibili.